Scrittore, saggista, regista, attore, commediografo, musicista. Ma Woody Allen, che oggi compie 85 anni, non è solo questo. È un’icona, un punto di riferimento, uno dei più grandi intellettuali del Novecento e di questi primi vent’anni del nuovo millennio. Un filosofo, un umorista. Uno che sa sempre far riflettere ma anche divertire, con la stessa potenza. Lavoratore appassionato e instancabile, Woody è un vulcano di idee sempre attivo che non ha eguali. Dal 1966 la media è di un film all’anno, ed è dal 1977 che non perde un colpo.
Una produzione industriale che scaturisce dalla sua mente, illuminata, lucida, da sempre più avanti rispetto a tutti. Una dote che si chiama genio, e nel suo caso, Genio con la G maiuscola. Una visione del mondo e dell’esistenza che ha saputo tramutare in battute, miliardi di dialoghi e di frasi, grazie ad una altrettanto spiccata capacità di scrittura. Nato e cresciuto nel quartiere di Brooklyn a New York, sin da adolescente, il nostro Allan Stewart Königsberg (questo il suo vero nome, poi cambiato legalmente in Heywood Allen) è un ragazzo rossiccio (i compagni di classe lo chiamano Red) e dissidente, apertamente schierato contro le regole del sistema scolastico. È sui quei banchi che inizia a scrivere, a creare. Il suo nome d’arte è Woody Allen, in onore del clarinettista Woody Herman.
Battute su battute, prima per cronisti e poi per comici, colossi del calibro di Ed Sullivan e Sid Caesar. Dimostrazioni di bravura che gli valgono l’approdo, neanche ventenne, come autore di punta alla ABC, rete televisiva nazionale. I suoi pezzi sono illuminanti, qualcosa di mai sentito prima. Con 100 $ al minuto per ogni sketch, Allen arriva a portarsi a casa 1700 dollari alla settimana. Nel 1958 conosce Jack Rollins e Charles H. Joffe, coloro che diventeranno i suoi storici agenti e produttori, che lo spronano a salire sul palco a recitare le sue stesse battute. Il suo debutto al Blue Angel è l’inizio di quel cammino diretto alla settima arte. Impacciato, agitato, spesso Allen non fa ridere. Fiaschi, fischi, fino ad una graduale presa di coraggio. Il suo personaggio è buffo (fin dagli inizi porta gli occhiali con una montatura vistosa nera, quelli che sono diventati i Suoi Occhiali) e le gag che recita sono irresistibili.
La paura si trasforma presto in successo, e nel 1965 gli viene proposto di scrivere la sceneggiatura di Ciao Pussycat, film di Clive Donner, dove Woody recita. Nonostante il clamoroso successo commerciale, la sua sceneggiatura viene stravolta e questa esperienza porta Allen a ripromettersi di dirigere in futuro il suo lavoro, assumendone il totale controllo. Cinquant’anni fa esatti inizia così la sua leggenda. Innamorato del cinema europeo, i suoi punti di riferimento sono Ingmar Bergman, Groucho Marx, e i nostri Michelangelo Antonioni, Federico Fellini e Vittorio De Sica. Anche se in realtà il suo sogno è quello di realizzare film drammatici, i suoi primi lavori sono in linea con lo spirito umoristico portato sul palcoscenico. Il suo primo lungometraggio, Che Fai, Rubi?, è già un esempio di genialità comica: Allen utilizza infatti le sequenze di un film giapponese (Kokusai Himitsu Keisatsu: Kagi no Kagi di Senkichi Taniguchi), per realizzare una parodia di una pellicola di James Bond, in cui i dialoghi vengono doppiati in inglese e completamente reinventati in chiave comica e surreale (tra i personaggi si crea una lotta per avere una ricetta di un’insalata di uova!).
I successivi Prendi i Soldi e Scappa, Il Dittatore dello Stato Libero di Bananas, Tutto Quello che Avreste Voluto Sapere sul Sesso e Non Avete Mai Osato Chiedere, Il Dormiglione e Amore e Guerra, sono altri capolavori di comicità da che lui stesso interpreta. Tutti film che gli procurano una consistente nicchia di ammiratori devoti, il rispetto dei maggiori critici, e un notevole profitto per i suoi investitori. In mezzo a questi è impossibile non citare anche Provaci Ancora Sam, commedia da lui scritta per il teatro (un trionfo, 453 repliche a Broadway) ma diretta al cinema da Herbert Ross. Nel film del 1972, Woody Allen recita nel suo classico ruolo di impacciato cronico al fianco di Diane Keaton, per anni compagna nella vita e nel lavoro. Questo film, insieme a Il Prestanome e a diversi altri titoli, appartiene all’elenco di quelle opere in cui il Genio è stato diretto e che abbiamo ricordato in questo articolo.
La seconda svolta arriva nel 1977, anno in cui esce al cinema Io e Annie, film che lo vede protagonista insieme alla Keaton e che gli quattro premi Oscar per Miglior Film, Miglior Regista, Migliore Sceneggiatura e Migliore Attrice alla stessa Diane. Non si era vista una commedia vincere agli Oscar dai tempi di Accadde una Notte di Frank Capra, circa mezzo secolo prima, e la cosa non si è più ripetuta da allora. Caldo, spiritoso, ironico, delizioso, indimenticabile: Io e Annie è il primo film della maturità di Woody Allen. A questo successo seguiranno l’austero dramma Interiors (1978), l’universalmente amato Manhattan (1979) – girato in bianco e nero, sempre con la Keaton, vera e propria dichiarazione d’amore per la sua New York – e l’ambizioso, e non da tutti apprezzato, Stardust Memories (1980, da molti considerato autobiografico e goffa imitazione di 8 e ½ di Fellini).
Il 1982 segna il ritorno ad Una Commedia Sexy in una Notte di Mezza Estate, primo film con un’altra donna importante per la sua vita e per la sua filmografia: Mia Farrow. Con Zelig (1983), realizza un finto documentario su Leonard Zelig, un omarino ebreo americano e camaleonte umano (interpretato dallo stesso Allen). In Broadway Danny Rose (1984) utilizza nuovamente il bianco e nero per una commedia leggera e intelligente, mentre ne La Rosa Purpurea del Cairo (1985), regala al Cinema e al potere della sala buia, un quadro fatto di ironia, malinconica e tenerezza. Protagonisti sono la Farrow e Jeff Daniels: è la seconda volta che Woody non recita in un suo film. Nel doppio ruolo di regista e interprete torna l’anno dopo con Hannah e le Sue Sorelle, commedia seria, a tratti divertente, con una miriade di personaggi (10 principali, 41 in tutto).
Radio Days (1987) è una nostalgica dichiarazione d’amore ai tempi ingenui e fantasiosi della radio in una Brooklyn anni Trenta: Woody non recita (al contrario di Mia Farrow e Diane Keaton, qui eccezionalmente insieme), ma il ragazzino protagonista è lui, nella sua infanzia. Nello stesso anno esce anche Settembre, dramma a porte chiuse carico di tristezza, ricordi traumatici, amori non corrisposti, sogni e desideri infranti. Sullo schermo una fantastica Mia Farrow che prende parte anche al successivo Un’Altra Donna, un nuovo film drammatico dal sapore “bergmaniano”, fortemente psicanalitico e riflessivo. Nel 1989, oltre all’episodio Edipo RElitto nel film corale New York Stories (gli altri due episodi sono di Francis Ford Coppola e Martin Scorsese), arriva Crimini e Misfatti, straordinaria commedia che sfocia nel drammatico incentrata su uno dei temi portanti della filmografia alleniana: il tradimento.
Il potere magico, che ha sempre affascinato e appassionato Woody Allen fin da ragazzino, è al centro di Alice (1990), mentre in Ombre e Nebbia il regista realizza una commedia nera, una parabola sull’antisemitismo e sull’identità ebrea in stile cinema espressionista tedesco. Il tema del tradimento torna sullo schermo e, ironia del destino, anche nella realtà: Mariti e Mogli è infatti l’ultimo film che lo vede insieme sul set con Mia Farrow. È il 1992 e la sua relazione con la figlia adottiva Soon Yi Previn viene a galla portando Woody Allen all’interno di una bufera mediatica che ne intacca anche l’immagine. L’anno dopo torna a far coppia, solo artisticamente, con Diane Keaton nel divertente giallo Misterioso Omicidio a Manhattan. Nel 1994 realizza Pallottole su Broadway, un ironico apologo sul mondo del teatro ambientato negli anni Venti, mentre con la commedia La Dea dell’Amore fa vincere un Oscar a Mira Sorvino.
L’anno successivo arriva il suo primo musical dal finale fatato e romanticissimo, Tutti Dicono I Love You. Uno scrittore in crisi che cerca di mettere ordine al suo caos è il personaggio da lui interpretato in Harry a Pezzi (1997) mentre il mondo di Hollywood anni Novanta viene filmato in un nuovo bianco e nero in Celebrity (1998). Un nuovo salto nel passato e nel mondo della musica avviene in Accordi e Disaccordi (con uno strepitoso Sean Penn), mentre il nuovo millennio inizia con due commediole leggere e divertenti: Criminali da Strapazzo e La Maledizione dello Scorpione di Giada. A questi ultimi due segue un altro trittico di commedie con lievi sfumature drammatiche: Hollywood Ending, Anything Else e Melinda e Melinda. Tutti dicono che Woody Allen sta camminando spedito sul viale del tramonto.
Dieci anni fa tutto cambia. Lontano da New York e dell’America, Woody Allen realizza in Inghilterra lo straordinario Match Point, basato sul delitto (senza) castigo dostoevskiano. Il film è un successo strepitoso che vale al regista un enorme consenso di pubblico e di critica. Protagonisti della storia sono Jonathan Rhys-Meyers e Scarlett Johansson, che diventa la sua nuova musa. L’attrice newyorkese è infatti al centro della commedia Scoop e del focoso triangolo di Vicky Cristina Barcellona, affiancata da Penelope Cruz (che vince l’Oscar come Non Protagonista). Due pellicole intervallate dal suo primo thriller, Sogni e Delitti (2007) con protagonisti Colin Farrell e Ewan McGregor. Dopo questo poker girato in Europa (tre a Londra e uno a Barcellona), il ritorno a New York avviene con Basta che Funzioni, una commedia con protagonista il suo alter ego Larry David.
Spazio alle capitali: nuovo film girato a Londra è Incontrerai l’Uomo dei Tuoi Sogni (2010), in cui due coppie sposate intrecciano le loro disavventure; poi ecco l’eccezionale viaggio nel tempo di Midnight in Paris (Oscar per la Miglior Sceneggiatura Originale) e il più modesto ed estivo To Rome With Love (2012), a oggi il suo ultimo film anche interpretato (doppiato da Leo Gullotta che abbiamo intervistato), e con Roberto Benigni che guida la selezione di attori italiani impiegati (tra cui Roberto Della Casa che abbiamo intervistato). Ma se la pellicola italiana non convince, di altissimo livello è Blue Jasmine (2013) storia drammatica di una donna in crisi esistenziale, tra fasi del passato e mediocrità del presente. La protagonista è Cate Blanchett e la sua prova viene premiata con l’Oscar. Dopo Magic in the Moonlight – ancora magia, ancora commedia, ancora Francia – con Colin Firth ed Emma Stone (2014), sono poi usciti altri grandi film: The Irrational Man, ancora con Emma Stone e soprattutto con un grande Joaquin Phoenix (2015), Café Society, con Jesse Eisenberg e Kristen Stewart (2016), La Ruota Delle Meraviglie, con una superba Kate Winslet (2017), Un Giorno di Pioggia a New York, con l’astro nascente Timothée Chalamet (2019). Lo scorso settembre è invece uscito il primo trailer del suo ultimo lavoro, Rifkin’s Festival.
Un’ebraicità ostentata e ironizzata, la musica jazz, la psicanalisi e i massimi sistemi. Woody Allen ha svelato tutto se stesso attraverso i suoi film. Tra capolavori assoluti e film meno memorabili, ha saputo costruire negli anni, un personaggio inconfondibile: un ometto fragile, insicuro, logorroico, ipocondriaco, ossessionato dalla morte, perennemente in analisi e succube dell’universo femminile. Dietro la macchina da presa è però sempre stato un gigante, un uomo che ha messo nella scrittura e nella regia la stessa passione con cui suona il clarinetto, un Autore unico che ha arricchito la nostra mente e il nostro cuore. In questo, per me, Woody Allen è terapeutico, proprio come viene celebrato da Sophie Lellouche in Paris, Manhattan, in cui la protagonista farmacista, al posto delle medicine, ai clienti prescrive i suoi film.
Illuminante e geniale, divertente e poetico, serio e commovente. Woody con i suoi film ci ha fatto viaggiare nel tempo, inquadrando epoche diverse ma raccontando sempre l’Uomo e i suoi autoinganni, quel tentativo di voler dare un senso alla vita. Dio esiste? L’Universo esploderà? La materia si disgregherà?
Play It Again, Woody, perché questo mondo ha sempre bisogno di te. Perché tu Woody, con i tuoi film, la tua arte e le tue storie, hai sicuramente dato un senso in più alla vita. O perlomeno, alla mia.
Giacomo Aricò