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Xavier Giannoli indaga la Fede con L’Apparizione

Vincent London è il volto indagatore de L’Apparizione, il nuovo film scritto e diretto da Xavier Giannoli – in sala da giovedì 11 ottobre – una storia ricca di mistero e che indaga sul tema della Fede.

Un giorno Jacques (Vincent London), firma di punta di un quotidiano francese, riceve una misteriosa telefonata dal Vaticano. In una piccola cittadina del sudest della Francia Anna (Galatéa Bellugi), una ragazza di diciotto anni sostiene di avere avuto un’apparizione della Vergine Maria. La voce si è diffusa rapidamente e il fenomeno ha ormai assunto dimensioni tali che migliaia di pellegrini si recano in raccoglimento nel luogo della presunta apparizione. Jacques, che è molto lontano da quel mondo religioso, accetta di far parte di una commissione d’inchiesta incaricata di far luce sugli eventi.

Lasciamo ora spazio ad un estratto dell’intervista rilasciata da Xavier Giannoli.

Come è nato questo film?

Da molto tempo provavo il desiderio di capire che rapporto ho oggi con la religione e la fede. Un giorno ho letto su un giornale un articolo sulle misteriose «indagini canoniche». Sapevo che in alcune circostanze la Chiesa riunisce delle commissioni d’inchiesta su fatti che si presuppongono sovrannaturali, come le guarigioni miracolose o le apparizioni. Queste commissioni di inchiesta canoniche non sono necessariamente costituite da religiosi. Possono farne parte dei medici o degli storici ai quali un vescovo chiede di raccogliere testimonianze e di indagare su fatti precisi allo scopo di riuscire a stabilire se si tratti di un’impostura… o meno. La prospettiva di un’approfondita indagine documentaria su una presunta prova dell’esistenza di Dio corrispondeva al mio stato d’animo in quel periodo sella mia vita, al dubbio esistenziale che era diventato il mio. Questo dubbio si è trasformato in una forza di vita e di cinema.

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Ha sentito l’esigenza di indagare…

E volevo farlo senza dogmatismi o pregiudizi, dal punto di vista di un uomo normale, non di un filosofo o di un teologo, che peraltro non sono, ma di un cineasta animato dal desiderio di esplorare una verità umana. È così che mi è venuta l’idea del personaggio del giornalista che parte per investigare su un fatto di per sé incredibile: un’apparizione della Vergine Maria, ai giorni nostri, in Francia. Non è né un bigotto, né un ateo cinico, è solo un uomo libero che vorrebbe districare il vero dal falso. E mi è molto piaciuto rendermi conto che l’inchiesta mi sfuggiva di mano e prendeva una forma autonoma, si muoveva in altre direzioni.

L’epoca in cui viviamo ha contribuito a suscitare il suo interesse verso questo argomento?

Provavo l’esigenza di riappropriarmi di queste tematiche allontanandomi dai cliché delle rappresentazioni mediatiche, dei dibattiti sullo scontro tra le civiltà, sul ritorno della religiosità, sulla deriva fondamentalista e integralista o ancora della Chiesa e suoi scandali, dal momento che per me si trattava soprattutto di una ricerca personale e segreta… Ciascuno affronta questi temi come vuole, come può, oppure rimane come me in uno stato di turbamento. Non riusciremo mai a rispondere al quesito sul senso della nostra vita attraverso algoritmi, smart phone, promesse economiche o illusioni politiche. Ho voluto che il viaggio del mio personaggio si concludesse nel deserto, un deserto delle origini, nell’indigenza e nella modestia. Ha cercato di penetrare un mistero e alla fine sembra rifiutare di andare fino in fondo, forse perché ha scoperto la bellezza della messa in discussione. Il modo in cui Vincent appoggia un ginocchio per terra per deporre la piccola icona bruciata sui gradini del monastero, come un tempo vi si depositavano i neonati abbandonati, è senza dubbio uno dei gesti più belli che io abbia mai filmato in vita mia. In quel momento Vincent ha un’umiltà e una dignità che mi toccano, come se riconoscesse l’esistenza di un grande mistero pur restando sulla soglia di esso.

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Dunque è stata soprattutto una storia umana ad interessarle…

Ho letto un libro affascinante che si intitola «Faussaires de Dieu» (lett. “Falsari di Dio”, di Joachim Bouflet, pubblicato da Presses de la Renaissance), un’inchiesta su quegli impostori che sono pronti a tutto pur di far credere che hanno visto un segno della presenza di Dio. Per questo motivo, quando ho deciso di avventurarmi in questo tema, non l’ho assolutamente fatto spinto dal desiderio di indurre la gente a credere che queste apparizioni siano vere, anzi è vero l’esatto contrario… Ma volevo anche credere alla profonda sincerità di quella giovane donna, malgrado il legittimo dubbio che si può avere sulla veridicità di quello che racconta di aver visto. Trovo questo dono di sé commovente e poetico e nutro un rispetto profondo per questa scelta. Lo storico Yves Chiron ha scritto dei libri su questo argomento che mi hanno molto aiutato. Durante la scrittura, ho anche avuto modo di parlare con dei sacerdoti. Un giorno ho chiesto a uno di loro: «Quando arriverà il momento della sua morte, avrà meno paura visto che crede nella vita eterna?». È rimasto qualche istante in silenzio e poi mi ha risposto: «Nel momento di chiudere gli occhi, innanzitutto dirò a me sesso ‘Spero di non essermi sbagliato…’». Quella sua frase mi ha sconvolto. E a quel punto mi sono ricordato del bellissimo «Non lo so.» che conclude «Il regno» di Emmanuel Carrère, poiché anch’io posso dire: non lo so. È per questo che continuo a cercare e ho bisogno del cinema per farlo… o forse ho bisogno di questo argomento per cercare qualcosa del cinema. Non lo so.

Come è cominciata questa indagine?

Innanzitutto, ho trovato un elenco di episodi di apparizioni «autenticati» dal Vaticano. Tutti conoscono Bernadette Soubirou, ma ci sono decine di altre persone, prima e dopo di lei. L’ultima apparizione riconosciuta canonicamente come sovrannaturale risale agli anni ’80 in Argentina, a San Nicolas. E potremmo anche citare San Sebastián de Garabandal, Medjugorje o Fatima che sono state oggetto di numerose inchieste contraddittorie più o meno serie, con un ampio ventaglio di giudizi e di posizioni… Ho trovato la fotografia di una piccola veggente con una cuffia da encefalogramma sulla testa e le mani giunte in preghiera mentre le analizzavano le onde elettriche del cervello per valutare la sua sincerità. C’era una strana poesia in quell’immagine, come se la tecnologia fosse in grado di sondare i misteri dell’anima. Mi ha attirato soprattutto la dimensione fattuale dell’inchiesta.

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È riuscito a penetrare il mondo delle inchieste canoniche?

Ho voluto iniziare con un’indagine «sul campo». Sono quindi andato a incontrare alcune persone che hanno preso parte a delle inchieste canoniche. La mia prima sorpresa è stata incontrare uomini e donne che non avevano nulla degli illuminati disposti a credere a tutto e a niente. Al contrario, smascherano le imposture e i falsari, coinvolgendo medici e storici nelle loro ricerche. Ma il problema è che sono tenuti a osservare rigidamente il segreto professionale… Tuttavia, sono riuscito a tessere dei legami con alcuni di loro e ho persino potuto accedere a dei veri interrogatori di «visionari» che sostenevano di avere avuto un’apparizione. È stato molto affascinante perché è una prassi estremamente semplice e concreta, non molto dissimile da un’inchiesta giornalistica o poliziesca. Una volta conclusa l’indagine, la commissione rimette le proprie conclusioni a un vescovo che è il solo a poter chiedere al Vaticano il riconoscimento di un evento sovrannaturale. Si tratta di un procedimento lungo e rigoroso, molto sorvegliato, con un complesso protocollo che determina la rettitudine delle investigazioni per bandire ogni tentativo di impostura. E non dobbiamo immaginare che la Chiesa auspichi e «incoraggi» l’autenticazione delle apparizioni. Al contrario, credo che rappresentino una complicazione… La fede non ha bisogno di prove o non è più fede.

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